Mindfulness e benessere

Cos’è la mindfulness? 

La riposta più semplice potrebbe essere: la pratica del prestare attenzione, sapere dov’è e poter scegliere dove dirigerla. Una definizione un po’ più tecnica potrebbe essere l’«allenamento dell’attenzione» o la «regolazione dell’attenzione». 

Si potrebbe anche dire che la mindfulness è una forma di «meditazione di consapevolezza» ampiamente praticata da millenni, anche se negli ultimi anni si è assistito a una vera esplosione dell’interesse e delle ricerche a riguardo, sia in ambito clinico, sia per le applicazioni alla vita quotidiana. Dietro alla sua improvvisa diffusione come stile di vita e come interesse clinico, c’è però una storia millenaria.

Con il termine mindfulness o consapevolezza, si indica una pratica con cui ci si sforza di focalizzarti sul momento presente e osservare con la massima attenzione ciò che accade nell’esperienza in cui ci si trova e nelle immediate vicinanze. La mindfulness consiste anche nell’accettare le proprie esperienze senza esprimere giudizi. Per esempio, spesso quando si cammina per strada si ha in mente ciò che è successo poco prima o ciò che succederà dopo, oppure si guarda il telefonino per controllare un messaggio, ma non si è concentrati sul momento presente.

Camminare in modo consapevole significa concentrare l’attenzione sul movimento dei piedi, sulla sensazione muscolare, sul vento freddo sulla pelle, sui colori e i suoni che circondano la persona e ogni altra esperienza sensoriale, come gli odori o perfino la stessa respirazione. 

Secondo un recente studio dell’Università di Harvard, la cosa che rende più felici è semplicemente prestare attenzione a ciò che si sta facendo (Killingsworth e Gilbert, 2010). Potrebbe sembrare strano dato che in genere si pensa che sognare a occhi aperti, specialmente in caso di sogni piacevoli, sia divertente e porti buonumore. 

La mindfulness si pratica per imparare a prestare attenzione al momento presente. Capita spesso, infatti, di andare in una stanza e poi dimenticarsi perché ci si trovi in quel luogo o di andare in auto da qualche parte, ma non ricordare il viaggio; o ancora, durante una conversazione con qualcuno, scoprire all’improvviso che non si è ascoltato neanche una parola di ciò che l’altro stava dicendo. O ancora di leggere un libro e accorgersi a metà capitolo di non aver assimilato neanche un vocabolo. Ecco, questo e ciò che succede quando “non si è consapevoli” nel momento in cui si sta svolgendo un’azione.

La tendenza a non essere completamente presenti alla vita, può avere diverse conseguenze importanti e può far perdere l’occasione di realizzare a pieno il proprio potenziale di vita.

Essere “non consapevoli” significa sprecare la vita, perdere informazioni importanti, rischiare più infortuni e più incidenti, peggiorare i rapporti con gli altri, comunicare in modo più superficiale. Inoltre questo rende più infelici di quanto ci si rende conto e più esposti allo stress e ai problemi psicologici, con tutte le conseguenze fisiche e negative che possono derivarne.

Se la “non consapevolezza” sia più diffusa oggi che in passato è difficile a dirsi, ma quello che si sa è che le persone oggi vivono la propria vita dominati dalla fretta, dove la parola d’ordine sembra essere “correre!”, dalla nascita alla morte, senza pensare veramente a quello che sta nel mezzo.

Se non si viene distratti dalla fretta, a volte lo si è dalla noia e dall’inerzia.

Diventare consapevoli del proprio presente è molto semplice, dipende solo da un costante allenamento e una costante pratica della mindfulness.

Attraverso la mindfulness, si acquisisce la capacità di prestare attenzione e riuscire a scegliere dove dirigerla.

A chi può essere utile?

La mindfulness è stata utilizzata con successo per aiutare persone affette da una varietà di condizioni, tra cui il dolore cronico e la depressione.

La mindfulness ha molte applicazioni pratiche in cui si dimostra assai utile, compresi i seguenti ambiti:

salute mentale: prevenzione delle ricadute nella depressione, ansia, disturbo di panico, stress, regolazione emotiva e promozione dell’intelligenza emotiva, miglioramento della qualità del sonno, disturbi di personalità, dipendenze;

neurologico: cambiamenti strutturali e funzioni nel cervello, neurogenesi (incremento della capacità del cervello di generare nuove cellule cerebrali), miglioramento del funzionamento esecutivo, miglioramento della circolazione sanguigna e possibile prevenzione della demenza;

clinico: gestione del dolore, controllo dei sintomi, fronteggiamento di malattie come il cancro, benefici metabolici, alterazioni ormonali e cambiamenti nella funzione e nella riparazione genetica;

prestazionale: sport, studio e leadership;

spirituale: pace profonda, percezione netta (insight), unità.

Come si pratica? 

La scansione corporea è l’esercizio di consapevolezza più praticato e, in genere, il migliore per cominciare. 

Si inizia prendendo coscienza dell’intero corpo lansciando che si quieti. Poco alla volta si prende consapevolezza di ciascuna parte del corpo, partendo dai piedi. Si lascia che l’attenzione resti lì per un po’, percependo tutto quel che c’è da percepire. Quindi, si lascia che l’attenzione passi alle gambe, allo stomaco, alla schiena, alle mani, alle braccia, alle spalle, al collo e alla faccia, fermandosi un po’ su ciascun punto. Il tempo da dedicare a ciascuna parte dipenderà dal tempo complessivo che si vuole dedicare alla pratica. Il fine di questo esercizio è lasciare che l’attenzione si soffermi su ciascuna parte del corpo, prendendo semplicemente atto di quel che succede in quel punto, quali sensazioni si presentano momento per momento. In questo modo ci si esercita a coltivare un atteggiamento di consapevolezza imparziale.

Altre forme di «meditazione di consapevolezza» includono: l’attenzione al respiro e l’ascolto consapevole. Si può praticare la meditazione di consapevolezza anche con gli altri sensi, compresi il gusto e l’olfatto.

Come iniziare?

Per chi si accosta alla mindfulness per la prima volta, una buona «dose iniziale» potrebbe essere un esercizio di 5 minuti per due volte al giorno. La durata dell’esercizio può essere portata a 10, poi a 15, poi a 20 fino anche a 30 minuti o più, eventualmente, a seconda della disponibilità di tempo, della motivazione, delle necessità e dell’impegno.

In molti programmi che utilizzano la meditazione di consapevolezza per gestire disturbi come una forte depressione ricorrente o un dolore cronico, la durata della pratica è di circa 40 minuti al giorno.

Per la meditazione si raccomanda la posizione da seduti, perché in verticale è più difficile addormentarsi. Si può praticare a occhi aperti, ma chiudendoli è più facile far entrare in gioco gli altri sensi, quelli che di solito si trascurano.

Le persone pensano spesso che la mindfulness sia un esercizio di rilassamento poiché, non di rado, quando la si pratica ci si rilassa. In realtà è innanzitutto una pratica di allenamento dell’attenzione, e il rilassamento è più che altro un effetto collaterale (desiderato).

Come nasce la mindfulness?

Si crede erroneamente che la mindfulness nasca dalle tradizioni orientali, mentre in realtà anche l’Occidente ha una ricca storia di contemplazione e ricerca della quiete interiore.

La pratica della meditazione è stata divulgata per la prima volta in Occidente alla fine degli anni Cinquanta, quando Maharishi Mahesh Yogi introdusse in California la meditazione trascendentale.

 La meditazione divenne un fenomeno di tendenza nella cultura giovanile degli anni Sessanta, fortemente bisognosa di un senso esistenziale profondo. 

Nel decennio successivo, Herbert Benson condusse all’Università di Harvard le prime ricerche scientifiche sull’antico fenomeno della meditazione che ora faceva tendenza. Benson capì che la meditazione produce una risposta contraria a quella dello stress e introdusse l’espressione «risposta di rilassamento» nel suo famoso libro sull’argomento, The relaxation response (Benson, 1975).

È possibile ricevere maggiori informazioni su questa tecnica, formulando una richiesta attraverso l’area “contatti” presente in questo sito. 

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Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, Dottorando di Ricerca in Neuroscienze del Comportamento

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Gli attacchi di panico

L’attacco di panico è la forma più acuta e intensa dell’ansia e ha le caratteristiche di una crisi che, pur durando generalmente non più di alcuni minuti, è così spiacevole da terrorizzare la persona al solo pensiero che una simile esperienza possa ricapitargli nuovamente.

Nel corso della vita occasionalmente può capitare a tutti di vivere uno o più attacchi di panico, specie in momenti particolarmente stressanti o di intensa attivazione emotiva. Questo di per sé non significa che la persona soffra di un disturbo di panico.
Quando invece simili episodi si presentano ripetutamente, in maniera del tutto inaspettata e imprevedibile, provocando la sensazione di perdita di controllo su di sé e sul mondo insieme alla necessità  di mettere in atto evitamenti che limitano notevolmente le normali attività  quotidiane, siamo di fronte a un disturbo che può necessitare di un trattamento psicoterapeutico.
La persona può ritrovarsi, per esempio, nell’impossibilità  di guidare, prendere un aereo, frequentare luoghi chiusi o spazi affollati, allontanarsi da luoghi conosciuti se non accompagnati da persone di fiducia, ecc, nel tentativo di evitare tutte quelle situazioni che teme potrebbero innescare un attacco di panico, caratterizzato da segnali corporei intensi (accelerazione del battito cardiaco, fame d’aria, nausea, tremori, secchezza alla gola, ecc), vissuti come minacciosi.
In questi casi livelli intensi di ansia anticipatoria, insieme a comportamenti di evitamento, rischiano di interferire notevolmente col funzionamento relazionale, sociale e lavorativo, limitando la libertà  di azione e di espressione del soggetto.

Gli attacchi di panico sono un disturbo molto diffuso, di cui l’OMS stima ne soffra fino al 3% della popolazione mondiale. Mentre i meccanismi di auto-mantenimento appaiono ormai riconosciuti, non sembrano esservi posizioni univoche rispetto alle cause, che dunque potrebbero dipendere da molteplici fattori soggettivi.

Per il trattamento appaiono particolarmente indicate tecniche psicoterapeutiche che si avvalgono del contributo di altre discipline, quali la mindfulness, tecniche di rilassamento corporeo e respirazione controllata, ecc.
L’intervento di uno psicologo psicoterapeuta può essere d’aiuto inoltre nel riconoscere i fattori sottostanti al panico, promuovendo la costruzione di strategie più funzionali e meno limitanti per gestire l’attivazione di emozioni intense.

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Ansia e paura nell’adulto

L’ansia e la paura sono emozioni comuni e fondamentali: ci informano di situazioni spiacevoli e allarmanti e ci guidano a individuare il comportamento più utile a difenderci dai pericoli o fuggire.
Possono però diventare esagerate e fuori luogo quando si attivano e perdurano nonostante sia cessato il pericolo o quando invece si presentano ancora prima del rischio di un pericolo concreto, anche solo pensando che potrebbe accadere qualcosa di potenzialmente minaccioso.
In questi casi emozioni così apprezzabili per la nostra stessa sopravvivenza rischiano invece di compromettere il benessere personale, limitando il normale funzionamento relazionale, lavorativo e sociale.
Le persone, per esempio, possono smettere, anche improvvisamente, di praticare sport che prima amavano, oppure evitare di muoversi in macchina, specialmente in autostrada o in percorsi sconosciuti, possono trovare molto stressanti situazioni prima gestibili, o provare ansia al solo pensiero di affrontare una situazione ecc.

I sintomi dell’ansia

Frequentemente possono anche insorgere uno o più sintomi tipicamente ansiosi, quali:

  • tachicardia ansiogena
  • eccessiva sudorazione
  • disturbi dell’apparato gastro-intestinale
  • insonnia
  • sensazioni di difficoltà  respiratoria
  • costrizione sul petto
  • sensazione improvvisa di panico, senza un motivo apparente
  • paura di morire o paura di perdere il controllo o di impazzire
  • eccessiva preoccupazione per la propria salute fisica
  • pensieri ossessivi
  • smisurato senso di responsabilità
  • evitamento delle situazioni potenzialmente ansiogene
  • comportamenti compulsivi (es: lavaggio ripetitivo delle mani)
  • bisogno di eccessive rassicurazioni da parenti e amici
  • impossibilità  a frequentare contesti e spazi in cui non si percepiscono via di fuga
  • timore di non ricevere l’aiuto o il conforto necessari in caso di malessere

Nei casi in cui l’ansia assuma un carattere così intrusivo, l’intervento di uno psicologo psicoterapeuta può essere di giovamento per riconoscere la sorgente delle proprie preoccupazioni esagerate e per sviluppare, anche attraverso tecniche cognitivo-comportamentali o attraverso l’approccio sistemico-relazionale, modi nuovi per gestire l’ansia nelle diverse situazioni e nel proprio mondo emotivo, così da riuscire nuovamente a raggiungere gli obiettivi personali. Altrettanto utile può essere dare uno spazio approfondito di analisi al significato che questi sintomi possono avere. Spesso una difficoltà  comunica dei messaggi importanti, al fine di gestire l’ansia, attraverso un codice che non è immediatamente decifrabile. Una psicoterapia può essere determinante per trovare nuove chiavi di lettura che consentano di comprendere maggiormente se stessi utilizzando al meglio le proprie risorse.

Disturbo ossessivo-compulsivo

Il disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi e sgradevoli, le ossessioni, che, manifestandosi ripetutamente nella mente, inducono la persona a mettere in atto dei comportamenti ripetitivi, i cosiddetti rituali, nel tentativo di ridurre il disagio, l’agitazione e l’ansia provocati dai pensieri ossessivi.
Chi soffre di DOC è spesso così spaventato e stanco dei pensieri involontari e dei continui rituali che non riesce a non mettere in atto che cerca di evitare molte situazioni che potrebbero innescare ulteriori pensieri ossessivi, al punto da sviluppare tutta una serie di limitazioni sia nella vita sociale che lavorativa.
L’intervento di uno psicologo psicoterapeuta può essere di sostegno nel riconoscimento e nella regolazione dei meccanismi mentali alla base del disturbo, favorendo lo sviluppo di modalità  nuove per gestire le sensazioni spiacevoli dell’ansia, senza dover ricorrere necessariamente ad evitamenti e rituali compulsivi. Il trattamento psicoterapeutico può aiutare a comprendere la natura delle difficoltà  e ad attivare le risorse per affrontarle.

Ipocondria

È caratterizzata da pensieri, vissuti con angoscia e paura, relativi al timore di avere una grave malattia, eventualmente non ancora diagnosticata. L’ansia e la preoccupazione non si attenuano nonostante accertamenti medici ripetuti abbiano escluso la presenza di una malattia. Spesso sensazioni o manifestazioni corporee banali vengono interpretati come segnali di un malessere preoccupante, per cui ogni rassicurazione risulta insoddisfacente. La facilità  di accesso tramite il web alle informazioni relative alle tante patologie può incrementare, inoltre, la tendenza a cercare autonomamente risposte aggiungendo confusione alla preoccupazione per se stessi.
La consulenza di uno psicologo psicoterapeuta può essere di supporto nel migliorare la consapevolezza del proprio funzionamento corporeo e mentale, al fine di correggere l’interpretazione disfunzionale dei segnali provenienti dal corpo.

Fobie

Si tratta di paure specifiche che si riferiscono a oggetti o circostanze che di fatto non rappresentano una reale fonte di pericolo. La persona che ne soffre riconosce la sua eccessiva preoccupazione ma reagisce evitando la fonte della paura stessa o cercando sostegno e rassicurazione in persone o oggetti. L’aiuto di uno psicologo psicoterapeuta può essere utile a comprendere meglio se stessi e le proprie emozioni, imparando ad utilizzare le risorse che possono consentire un diverso approccio alle situazioni ansiogene.

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La psicosomatica

Corpo e mente non sono due mondi separati, ma sono due parti, in continua influenza reciproca, di un tutt’uno: la persona nella sua unità somato-psichica.

In ambito medico è ormai largamente condivisa l’idea che il benessere fisico abbia una sua influenza su sentimenti ed emozioni e che a loro volta questi ultimi abbiano una certa ripercussione sul corpo. Non a caso il vecchio concetto di malattia intesa come effetto di una causa, è stato sostituito con una visione multifattoriale secondo la quale ogni evento (e quindi anche una affezione organica) è conseguente all’intrecciarsi di molti fattori , tra i quali sta assumendo sempre maggior importanza il fattore psicologico. Si ipotizza inoltre che quest’ultimo, a seconda della sua natura, possa agire favorendo l’insorgere di una malattia, o al contrario favorendone la guarigione.

La psicosomatica è quella branca della medicina che pone in relazione la mente con il corpo , ossia il mondo emozionale ed affettivo con il soma (il disturbo), occupandosi nello specifico di rilevare e capire l’influenza che l’emozione esercita sul corpo e le sue affezioni

L’ottica psicosomatica corrispondente ad una concezione della medicina che guarda all’uomo come ad un tutto unitario , dove la malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come disagio, e che presta attenzione non solo alla manifestazione fisiologica della malattia, ma anche all’aspetto emotivo che l’accompagna.

Si può affermare in conclusione che le malattie somatiche sono quelle che più strettamente realizzano uno dei meccanismi difensivi più arcaici con cui si attua una espressione diretta del disagio psichico attraverso il corpo. In queste malattie l’ansia, la sofferenza, le emozioni troppo dolorose per poter essere vissute e sentite, trovano una via di scarico immediata nel soma (il corpo). In queste persone non sono presenti espressioni simboliche capaci di verbalizzare il disagio psicologico e le emozioni, pur essendo presenti, non vengono percepite.

Le persone che tendono a somatizzare si presentano con pensiero sempre ricco di fatti e di cose e povero in emozioni. Difficilmente riferiscono sentimenti quali rabbia, paura, delusione, scontentezza, insoddisfazione. Spesso si tratta di persone che hanno difficoltà a far venire alla luce le proprie emozioni. La persona è incapace di accedere al suo mondo emotivo, ed ha difficoltà a percepire rabbia, frustrazione o stress per una difficile condizione lavorativa e neppure immaginare una possibile connessione tra la il suo disturbo fisico e le sue emozioni o i vissuti relativi al suo lavoro.

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Le tecniche di rilassamento

COSA SONO 

Le tecniche di rilassamento sono delle azioni volontarie per regolare e gestire gli stati di ansia e di stress. Il loro obiettivo principale è quello di alleviare la tensione della persona, ristabilendo il suo equilibrio psico-fisiologico. 

Attraverso le tecniche di rilassamento è possibile ridurre l’attivazione fisiologica riportando l’organismo ad uno stato di calma riducendo l’ansia la frequenza cardiaca, quella respiratoria, la pressione del sangue e la tensione muscolare. 

ORIGINE

Le tecniche di rilassamento nascono e si sviluppano come patrimonio delle scuole di matrice comportamentista. In questo contesto si consolidano come veri propri strumenti terapeutici.

Tali tecniche hanno attraversato un periodo di grande splendore negli anni ’70 e ’80, per poi essere accantonate. Sono subentrate nuove forme di terapia, nuovi strumenti di benessere e nuove mode in fatto di ginnastica e alimentazione.

Tuttavia le evidenze scientifiche confermano che le tecniche di rilassamento rimangono uno dei metodi più efficaci per ridurre il livello di stress e di ansia.

In occidente, le tecniche di rilassamento si sono fatte spazio solo negli ultimi decenni quando è stata accettata l’idea che l’organismo sia un sistema complesso costituito dall’interazione di mente e corpo.

RELAZIONE MENTE-CORPO

La relazione mente-corpo è stata oggetto di ampie e approfondite ricerche, sia in passato che di recente.  

Secondo la dottrina della Chiesa, l’essere umano era costituito da due entità distinte, ma intimamente connesse, una visione filosofica indicata col termine “dualismo”. Cartesio considerava la mente e il corpo due entità completamente distinte. Il dualismo di Cartesio poneva sul ruolo del corpo un’enfasi maggiore rispetto alle precedenti versioni del dualismo. 

Anche secondo il materialismo di Hobbes, il comportamento è un prodotto di meccanismi esclusivamente corporei, quindi ha cause unicamente fisiche.

Grazie al progresso scientifico e alla ricerca, oggigiorno queste concezioni sono completamente mutate.

Come scrive Umberto Galimberti (1992), la medicina psicosomatica, in un’accezione ampia, rappresenta quella concezione che, oltrepassando il dualismo psicofisico, che separa il corpo dalla mente, guarda all’uomo come un tutto unitario dove la malattia si manifesta a livello organico come sintomo, e a livello psicologico come disagio. 

Oggi le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato che l’individuo deve essere considerato in termini olistici (olos dal greco “tutto”, “intero”). Infatti, è ormai da tempo provato che il sistema nervoso, quello endocrino e quello immunitario comunicano tra loro. Ciò significa che la mente, le emozioni e il corpo non sono entità separate, ma interconnesse. Basti pensare che gli stessi neuro-trasmettitori che operano in modo estremamente esteso sia nel cervello che nel sistema immunitario sono anche quelli più frequenti nelle aree neurali che regolano le emozioni.

Gli ormoni liberati in condizioni di stress confermano quanto questi tre sistemi (nervoso, endocrino e immunitario) siano intimamente connessi. Infatti, le catecolamine (adrenalina e noradrenalina), il cortisolo e la prolattina, vengono tutti liberati in quello stato di attivazione fisiologica che segue allo stress. 

Ciascuna di queste sostanze ha un forte impatto sulle cellule immunitarie, in particolare tali sostanze agiscono inibendo le funzioni immunitarie dell’organismo: almeno temporaneamente, lo stress sopprime la resistenza immunitaria, forse per far fronte all’emergenza immediata, alla quale viene riconosciuta la priorità e che potrebbe essere più urgente per la sopravvivenza. Le persone che hanno sperimentato stati cronici di ansia, lunghi periodi di tristezza e pessimismo, continua tensione o costanti sentimenti di ostilità, implacabile cinismo o sospettosità, corrono un rischio doppio di ammalarsi di patologie quali asma, artrite, emicrania, ulcera gastrica e cardiopatie (Goleman, 1997). Per contro sembra che una condizione mentale serena determini un migliore andamento delle forme patologiche e una minore probabilità di ammalarsi. 

LE PRINCIPALI TECNICHE DI RILASSAMENTO

Esistono numerose tecniche di rilassamento. Alcune sono accreditate scientificamente, altre sono frutto dell’improvvisazione di sedicenti esperti, altre ancora derivano da discipline estranee alle pratiche medico-scientifiche. 

Durand de Bousingen distingue tra la corrente scientifica della fisiologia muscolare e quella dell’ipnosi terapeutica e della psicoterapia. 

Della prima corrente fanno parte i cosiddetti metodi analitici (come il Rilassamento Progressivo di Jacobson) che hanno un punto di partenza fisiologico. Questi metodi si fondono sul rilassamento dei muscoli striati periferici, realizzabile attraverso un’educazione del senso muscolare e attraverso la presa di consapevolezza circa la modalità di funzionamento del meccanismo contrazione-rilassamento.

Alla seconda corrente (sempre secondo la classificazione di Durand de Bousingen), quella dell’ipnosi terapeutica e della psicoterapia, afferiscono i metodi globali che si servono di tecniche con un punto di partenza mentale, partendo dal presupposto che attraverso la decontrazione muscolare e viscerale sia possibile raggiungere uno stato di rilassamento e distensione psichica (come il Training Autogeno di Schultz).

IL RILASSAMENTO PROGRESSIVO DI JACOBSON

Tra i metodi analitici quello certamente più diffuso e consistente dal punto di vista della validità sperimentale è il Rilassamento Progressivo di Jacobson. Il Rilassamento Muscolare Progressivo venne sviluppato agli inizi del secolo scorso da Edmund Jacobson, che pubblicò il libro “Progressive Relaxation” (“Rilassamento Progressivo”) in cui spiegava il suo metodo. Tale metodo si basa sull’idea che il pensiero e lo stato emotivo influiscano sul livello di risposta muscolare, evidenziando una relazione tra muscolo, pensiero ed emozioni. Questa tecnica risulta particolarmente utile per chi soffre di disturbi del sonno, dato che induce un riposo muscolare intenso attraverso il quale è molto più facile conciliare il sonno, ma è anche raccomandato per aiutare a combattere lo stress quotidiano e per regolare la rabbia e l’aggressività.

Il Rilassamento Progressivo di Jacobson prevede che la persona in primo luogo, sviluppi la capacità di individuare lo stato di tensione muscolare. Per raggiungere questo obiettivo si insegna a percepire la differenza tra tensione e rilassamento, attraverso ripetuti esercizi di contrazione volontaria e prolungata delle varie zone del corpo, fino a quando si sarà in grado di avvertire anche minime contrazioni muscolari.  Una volta che la persona ha imparato ad avvertire la tensione dei vari gruppi muscolari, sarà in grado di rilassare i muscoli che non sono interessati al movimento che sta effettuando e sarà anche in grado di applicare in ogni attività esclusivamente la quantità di tensione muscolare necessaria. L’essenza della tecnica consiste nel mettere in tensione secondo tempi predefiniti alcune parti del corpo e in seguito rilassarle. Jacobson affermava che notare la sensazione di tensione e di rilassamento nel momento in cui si smette di contrarre il muscolo aiuterà la persona in trattamento a provare una piacevole sensazione di benessere corporale che si tradurrà in benessere psicologico.

IL TRAINING AUTOGENO DI SCHULTZ

Il metodo globale sicuramente più noto e diffuso è il training autogeno di Schultz. Training Autogeno significa “allenamento che si genera da sé”.  Consiste nell’apprendimento e nell’allenamento costante di una serie di esercizi di rilassamento di tipo autoindotto. Le immagini mentali, dopo che è avvenuto il rilassamento fisico, inducono visualizzazioni piacevoli e rilassanti per richiamare sensazioni legate ai cinque sensi e possono essere a carattere generale o specifiche per sintomi particolari. 

Una volta appreso il Training Autogeno può essere sempre utilizzabile in situazioni diverse nella vita quotidiana. Messo a punto da Schultz nel 1932, il Training Autogeno è considerata una delle tecniche di rilassamento più efficaci nella cura dell’ansia, dell’insonnia, delle somatizzazioni e dello stress.

Gli esercizi di rilassamento fondamentali si suddividono in inferiori e superiori. Nei primi l’attenzione mentale viene rivolta a particolari sensazioni corporee; nei secondi, invece, l’attenzione viene rivolta a particolari rappresentazioni mentali. In tutto gli esercizi di rilassamento sono sei, i primi due sono detti fondamentali e gli altri quattro complementari:

  • esercizio della pesantezza, che agisce sul rilassamento dei muscoli;
  • esercizio del calore, che agisce sulla dilatazione dei vasi sanguigni periferici;
  • esercizio del cuore, che agisce sulla funzionalità cardiaca;
  • esercizio del respiro, che agisce sull’apparato respiratorio;
  • esercizio del plesso solare, che agisce sugli organi dell’addome;
  • esercizio della fronte fresca, che agisce a livello cerebrale.

Il Training Autogeno in ambito clinico è utile nella cura di ansia, insonnia, emicrania, asma, ipertensione, attacchi di panico e di altre condizioni ( come ad esempio coliti, gastriti, dermatiti) più o meno gravi. Il Training Autogeno ha anche un ruolo importante per atleti, sportivi e studenti in quanto favorisce il recupero di energie permettendo una migliore gestione delle proprie risorse, migliora la concentrazione e l’ascolto del corpo e contribuisce al conseguimento di alte prestazioni mantenendo il giusto equilibrio psico-fisico.

ALTRE TECNICHE DI RILASSAMENTO

Vi sono tutta una serie di altre tecniche di semplice applicazione e conduzione ( la respirazione addominale, la visualizzazione, l’attività fisica). Si tratta di tecniche che possono essere utilizzate facilmente in qualsiasi situazione da qualsiasi  individuo. Inoltre, una volta apprese non richiedono il monitoraggio da parte di uno psicologo formato, ma possono essere condotti in autonomia. Queste tecniche possono rientrare in una sorta di “pronto soccorso” del rilassamento, costituendo un set di strumenti da utilizzare in momenti di emergenza o come buona prassi nella propria quotidianità per il mantenimento di un funzionale equilibrio somato-psichico.

LA RESPIRAZIONE ADDOMINALE

La respirazione avviene grazie all’espansione della cassa toracica sulla base di due meccanismi distinti:

•contrazione del diaframma, che si espande verso il basso ( respirazione addominale o diaframmatica );

•contrazione dei muscoli intercostali interni, che sollevano le costole e allargano il torace ( respirazione costale o toracica ).

Nei maschi prevale un’attività respiratoria di tipo addominale o diaframmatica, mentre nelle femmine è più frequente riscontrare una respirazione costale o toracica.A prescindere dalle differenze anatomiche tra i due sessi, la ricerca ha evidenziato come nei paesi occidentali la maggior parte delle persone utilizzi prevalentemente una respirazione di tipo toracico, forse come espressione dei ritmi di vita incalzanti e spesso affannosi. Viceversa la cultura orientale ha imparato a fare tesoro degli insegnamenti delle arti meditative e a considerare il respiro come un aspetto importantissimo per il raggiungimento dell’equilibrio fisico e psichico dell’individuo. Per tale motivo nel corso dei secoli sono state sviluppate diverse tecniche basate sul controllo respiratorio. 

Secondo questi principi la respirazione avviene grazie un meccanismo riflesso involontario. Ogni persona di conseguenza, dovrebbe imparare a conoscere tale meccanismo in modo da non interferire con la sua spontaneità. 

La respirazione addominale aumenta quindi la consapevolezza del proprio corpo, consentendo la riscoperta di una parte dimenticata del proprio essere.

Come per le altre tecniche di rilassamento, i benefici non riguardano solo la psiche, ma portano numerosi vantaggi anche a tutto il resto del corpo. Per questo motivo un profondo controllo del respiro può diminuire la pressione arteriosa, massaggiare delicatamente gli organi della cavità addominale, regolando le funzioni digestive e migliorando quelle respiratorie.

Da evidenziare lo stretto collegamento esistente tra respirazione e attivazione: quanto più si è tesi tanto più il respiro diventa rapido e corto e si comincia a respirare solo con la parte superiore dei polmoni. Questo avviene in particolari condizioni di ansia e di stress in concomitanza con eventi particolari, ad esempio una competizione, un esame, ma può diventare una modalità stabile di respirazione che si installa dell’individuo quando è sottoposto a continue e ripetute situazioni di stress.

Una respirazione rapida riduce l’apporto di ossigeno al cervello e ai muscoli, stimola il sistema nervoso simpatico che è associato all’anticipazione del pericolo, attivando l’organismo, riducendo l’attenzione e la concentrazione. 

Una respirazione rapida e superficiale può indurre sintomi di panico come palpitazioni, formicolio alle labbra e alle dita, aumento della frequenza cardiaca, vertigini e senso di irrealtà, che nelle forme più intense possono portare ad un offuscamento e alla perdita di lucidità cognitiva. 

Tuttavia, la respirazione è controllata solo in parte del sistema nervoso autonomo mentre per il resto è influenzata dal sistema nervoso volontario, in questo modo si ha in parte la possibilità di controllarla.

LA VISUALIZZAZIONE

Le tecniche di visualizzazione partono dal presupposto che ogni persona possiede un’abilità mentale estremamente potente, una grande risorsa da cui poter attingere in qualunque momento e luogo: l’immaginazione.

La visualizzazione consiste nel visualizzarsi mentalmente all’interno di una scena tranquilla e confortevole, in un luogo appartato, reale o immaginario, ordinario o fantastico, in cui trovare ristoro psichico.

La caratteristica distintiva delle tecniche di visualizzazione consiste nel fatto che colui che visualizza è al centro stesso della propria visualizzazione. Durante la visualizzazione vengono coinvolti tutti i sensi come olfatto, vista, tatto, ecc. 

A livello pratico, una volta scelto il luogo è necessario che venga immaginato dettagliatamente per fare in modo che l’immagine sia quanto più vivida e che coinvolga tutti i sensi. Bisogna prestare attenzione a tutti i particolari dell’ambiente: colori, sfumature, livello di illuminazione, temperatura, momento della giornata, tipo e volume dei suoni, movimenti degli oggetti, sensazioni tattili, olfattive ed emozionali provate. Occorre fare anche caso a quanto ci si sente tranquilli, sereni e sicuri in questo ambiente nel quale si potrà entrare ogni volta che lo si desidera per rilassare e calmare la mente.

Il luogo da scegliere è a discrezione della persona che esegue la visualizzazione. I significati che verranno attribuiti ad un luogo, ad un profumo, ad un colore sono del tutto personali e fanno capo all’esperienza e alla storia di vita individuale.

Questa tecnica può essere utilizzata spesso durante il giorno e risulta particolarmente utile se utilizzata prima o dopo una situazione ansiogena. La visualizzazione è una tecnica che può essere validamente impiegata non solo per perseguire rilassamento, ma anche per aiutare il cervello a individuare gli elementi chiave di un problema, fornendo un quadro semplificato della situazione, oppure per focalizzare un obiettivo che si intende perseguire.

Alcune evidenze sperimentali hanno mostrato in che modo possa essere utilizzata la visualizzazione al fine di ottenere l’obiettivo sperato. È stato infatti trovato che se si mettono a confronto dei gruppi di soggetti dove un gruppo si è impegnato nella visualizzazione di un obiettivo ( ad esempio il superamento di un esame a pieni voti) e l’altro nella visualizzazione del processo di preparazione dell’esame, sarà quest’ultimo gruppo a ottenere delle prestazioni migliori.

La spiegazione di questo fenomeno paradossale risiede nel fatto che le capacità della mente di visualizzare, sono talmente potenti che una volta immaginato il successo, il cervello tende ad allentare impegno e motivazione, come se il risultato fosse già stato ottenuto. 

Da questo studio quindi, sembra emergere che la visualizzazione è utile quando ci si concentra sul processo che permetterà di raggiungere i propri obiettivi, poiché ciò equivale a spronare il cervello all’azione.

Questa stessa tecnica può essere utilizzata anche per facilitare e velocizzare l’apprendimento di esercizi e movimenti particolari.

L’ATTIVITÀ FISICA

Sentire i “muscoli a pezzi”, o percepirsi particolarmente stanchi dopo una giornata difficile, è un’esperienza spiacevole che si accompagna spesso alle situazioni di stress. I dolori muscolari possono essere dovuti principalmente ad uno stato di ansia che procura una determinata tensione muscolare accompagnata da contrazioni e spasmi muscolari che immobilizzano provocando dolore.

La tensione emotiva che scaturisce dall’essere esposti ad eventi che si percepiscono come minacciosi, si propaga sull’apparato muscolo-scheletrico che si pone in un assetto tensivo e di iper attivazione ( iper-arousal ).

I movimenti spontanei riescono a dare un contributo fondamentale alla riduzione di questa tensione, permettendo seppur parzialmente, di allentare le contrazioni muscolari. Affinché si possa trarre beneficio dal movimento, esso deve essere sistematizzato, frequente e ripetuto. L’esercizio fisico è colui che svolge questa funzione.

L’esercizio fisico, infatti, agisce positivamente sull’umore, sull’ansietà e sulla depressione portando un reale beneficio psicofisico. Questo avviene in quanto attraverso il movimento aumenta la produzione di dopamina, serotonina ed endorfine: tre neurotrasmettitori che regolano lo stato emotivo, l’umore e la capacità relazionale e produttiva.

La dopamina è il principale neurotrasmettitore del cervello emozionale. Stimola la voglia di fare, di interagire con gli altri, di impegnarsi per conquistare un risultato. I processi emozionali del piacere e della ricompensa sono regolati dalla dopamina così come le gratificazioni legate ai bisogni primari: mangiare, bere, riprodursi.

Una scarsa attività della dopamina può avere il suo peso in caso di depressione, al contrario un’iperattività conferisce vitalità, gioia di vivere e spirito di competizione.

La serotonina è un mediatore nervoso scoperto più recentemente. Ha un importante ruolo nella regolazione del ciclo sonno-veglia. È fortemente rilassante e anti-depressivo. Interviene nel controllo dell’appetito determinando una precoce comparsa del senso di sazietà.

Le endorfine sono dotate di una potente attività analgesica ed eccitante. Intervengono migliorando, tra le altre cose, la percezione del piacere e l’autostima. La loro azione è simile a quella della morfina e di altre sostanze oppiacee.

L’attività fisica sembra agire anche sul quoziente intellettivo, sul miglior controllo di ansia, emotività e sul comportamento.

È stato dimostrato un miglior rendimento scolastico nei soggetti che praticano regolarmente un’attività sportiva, facilitando il successo scolastico.

 Anche nei bambini con diagnosi di ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività), attraverso la pratica sportiva, si possono in parte canalizzare e finalizzare la spinta a muoversi (iperattività), contenendo l’ansia che altrimenti li renderebbe emotivamente irrequieti.  

Lo sport agisce come potente anti-stress anche in età adulta poiché aiuta a distrarsi dalle attività routinarie.

Staccare la spina da una situazione che crea ansia, stress o preoccupazione, permette di liberare la mente dal rimuginio su questioni poco gradevoli. Evitando in questo modo di mettere i propri muscoli in una condizione di allerta.

(Delle tecniche di mindfulness si parla ampiamente in un’atra sessione del sito sempre all’interno del menù a tendina dedicato alle “emozioni”)

L’INFLUENZA DELLA MENTE SUL CORPO

Nelle tecniche di rilassamento è ravvisabile un punto di partenza mentale e intenzionale che determina un rilassamento periferico che a sua volta induce uno stato di calma psicologica rinforzando efficacia e motivazione al processo. In tutti i metodi vengono utilizzate rappresentazioni e immagini mentali che richiedono un focus attentivo su di esse al fine di potenziarne la nitidezza. In misura maggiore o minore in tutte queste tecniche, vi è un’alterazione della coscienza in senso ipnoide.

Si è rilevato che, al variare degli stati di coscienza, come, per esempio, nella meditazione o nelle situazioni di stress, si producono variazioni misurabili a livello dei linfociti, a livello del sistema endocrino e del sistema gastrointestinale. Si sta scoprendo che l’organismo umano è un sistema in cui ogni parte parla con ogni altra parte e c’è un linguaggio comune fatto di molecole chimiche e di energie, che è in grado di mettere in comunicazione ogni cellula del corpo con ogni altra e queste con l’ambiente. Sono ormai moltissimi i dati che dimostrano che un determinato stato di coscienza e un determinato pensiero, cambia i parametri anche in maniera minima come i valori della glicemia, delle endorfine in circolo e del numero di recettori per certe molecole presenti sui linfociti. Inoltre uno stato di rilassatezza indotto attraverso queste tecniche, modifica la conduttanza elettrica della pelle, le onde elettromagnetiche emesse dall’organismo e il modo in cui la pianta del piede aderisce al suolo. 

Gli studi sulla conduttanza cutanea, l’elettroencefalogramma e l’elettromiografia, hanno mostrato come in coincidenza con emozioni negativamente connotate corrispondeva un’alterazione del tono muscolare nella direzione di una maggior contrazione. Il rilassamento fisico ha ricadute positive che si estendono anche alla dimensione psicologica. 

CORRELATI PSICO-BIOLOGICI DELLO STATO DI RILASSAMENTO

La ricerca ha mostrato come vi siano evidenti correlazioni tra valori di natura psico-biologica e la pratica del rilassamento. In altre parole, l’utilizzo del rilassamento non ha un effetto placebo, piuttosto trova conferma alla propria efficacia attraverso l’analisi di parametri che mostrano una variazione in seguito alla sua applicazione.

Come ad esempio:

  • aumento dell’ampiezza e riduzione della frequenza dell’EEG (elettroencefalogramma);
  • riduzione generalizzata della tensione muscolare;
  •  spostamento dell’equilibrio neurovegetativo in senso parasimpatico;
  • riduzione della frequenza cardiaca;
  • riduzione della pressione arteriosa sistolica e diastolica; 
  • riduzione degli atti respiratori;
  • vasodilatazione periferica ;
  • riduzione della conducibilità elettrica cutanea;
  • riduzione di ACTH, cortisolo, prolattina, catecolamine;
  • possibile aumento delle beta-endorfine plasmatiche
  • possibili modificazioni di alcuni parametri immunitari.

Questi dati dunque conferiscono valore forza scientifica all’utilizzo delle tecniche di rilassamento, dimostrandosi dunque non solo vantaggiose per ridurre l’ansia e stress, ma anche per perseguire un grado più elevato di benessere fisico. Queste rilevazioni sono particolarmente interessanti e confermano quanto l’unità mente-corpo, ovvero la dimensione psicologica e quella fisiologica siano intensamente connesse in ciascuna persona e come il benessere dell’una, dipenda dal benessere dell’altra.

Articolo curato da:

Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, Dottorando di Ricerca in Neuroscienze del Comportamento

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